La storia di San Sebastiano da Po

Comune di San Sebastiano da Po

Capoluogo di San Sebastiano da PO

Immagini relative a la mappa del Piemonte e la posizione di San Sebastiano da PO

Notizie certe su San Sebastiano, probabilmente già esistente dall'XI secolo, emergono da un documento del 1278. Essa era allora una terra coerente con quella di Radicata, ma comunque distinta e successivamente la prima assorbì Radicata. La storia di San Sebastiano è legata a quella di Cocconato anche perché da questa località ha tratto origine la famiglia dei conti di Radicata. La località appartenne al marchesato di Monferrato prima sotto la dinastia aleramica sino al 1305, poi sotto quella dei Paleologi sino al 1533 ed infine dei Gonzaga dal 1536 al 1631. Al termine della guerra di successione di Mantova e del Monferrato, con il trattato di Cherasco, San Sebastiano assieme ad altre comunità della sponda destra del Po venne infeudato al ducato di Savoia.

Ducato di Savoia.

Il porto sul Po di San Sebastiano il fiume allora scorreva ai piedi delle colline e solo dopo l'erezione degli argini fu costretto a seguire il corso attuale) era il medesimo che utilizzava Radicata. Nel documento sopra citato risulta che Radicata era un feudo del comune di Chivasso, allora capitale del Monferrato e i chivassesi godevano del privilegio di esenzione dal pedaggio sul traghetto.

Traghetto sul Fiume Po

San Sebastiano era una terra mediata sottoposta cioè alla giurisdizione di un vassallo del marchese del Monferrato. Per molto tempo furono signori assoluti di San Sebastiano i conti Radicati del consorzio feudale di Cocconato. Il XIII secolo è il periodo della nascita dei comuni: non si conosce quando questa istituzione abbia interessato San Sebastiano, ma certamente non è mai stato un comune libero. Nel 1604 i Radicati possedevano ancora buona parte della giurisdizione, ma dovevano già spartirla con altri nove consignori.

Il XVI secolo fu caratterizzato dalle guerre tra la Francia di Francesco I e la Spagna di Carlo V per la supremazia in Europa. Dopo la morte del marchese Gian Giorgio, ultimo discendente della dinastia dei Paleologi, avvenuta senza eredi legittimi nel 1533, il marchesato di Monferrato rimase sotto la giurisdizione dell'imperatore Carlo V e nel 1536 esso lo concesse in feudo al duca di Mantova Federico II Gonzaga, cosicché il marchesato di Monferrato perse la sua autonomia politica, economica e culturale. La situazione peggiorò ulteriormente quando, nel contesto delle guerre tra la Francia e la Spagna, le truppe di Francesco I invasero nel 1536 buona parte del Piemonte sabaudo e del Monferrato. Le terre occupate dai francesi furono annesse al regno di Francia e anche San Sebastiano subì la stessa sorte, rendendo un primo omaggio di fedeltà al re Francesco I nel 1538 e poi il primo aprile del 1539. Con la pace di Cateau Cambrésis del 1559 si conclusero le guerre che avevano devastato quasi tutto il territorio piemontese.

Francesco I di Francia

San Sebastiano confinava con Piazzo, allora comune, con Lauriano, Verolengo, Chivasso, Castagneto e Casalborgone. Chivasso e Casalborgone dipendevano dai duchi di Savoia; San Sebastiano era quindi terra di confine tra lo stato monferrino e quello sabaudo. La vita della comunità di San Sebastiano era regolata dalle norme statutarie e dalle delibere consiliari. Gli statuti erano l'insieme delle regole che la comunità si era dato, con l'approvazione dei consignori del luogo e con l'assenso del marchese di Monferrato. Dal 1540 a tutto il 1556 alcune riunioni del consiglio comunale si tennero nella chiesa o cappella della Beata Vergine Maria, altre nella chiesa parrocchiale e altre ancora in casa di privati. Dal 9 gennaio 1557 al 1590, ultimo periodo consultato, le congregazioni del consiglio si tennero nella casa del comune solita. La comunità si era dotata di un locale in cui congregare il consiglio. Nel luogo in cui si riuniva il consiglio si amministrava anche la giustizia, vi era il banco della raggione.

Guglièlmo IX (marchese di Monferrato)

Il consiglio comunale era composto dal podestà, 2 consoli, 11 consiglieri e dal notaio. Il podestà rappresentava gli interessi di tutta la comunità e aveva la giurisdizione su tutto il territorio, era quindi anche giudice in grado di applicare le leggi statutarie, di emettere le sentenze e di farle eseguire. L'appello era riservato al marchese. Il consiglio non si poteva riunire senza la presenza del podestà il quale poteva delegare un luogotenente. Secondo gli statuti il podestà doveva restare in carica un anno, ma dai verbali delle delibere consiliari, si è constatato che l'incarico era ripartito tra i consignori per un periodo di tre, quattro mesi e anche meno. I consoli duravano in carica sei mesi; essi erano responsabili dell'applicazione delle delibere, garantivano l'osservanza degli statuti e proponevano gli argomenti che poi venivano discussi in consiglio. I consoli erano il punto di riferimento della comunità. I consiglieri erano eletti tra i capi famiglia della comunità, erano persone credenti. Cioè di fede, oneste. Potevano delegare un familiare a rappresentarli in consiglio. Il notaio redigeva il verbale delle riunioni del consiglio e, alla presenza di due testimoni, autenticava con la sua firma il testo del verbale.

Tra i membri del consiglio, ogni sei mesi, venivano eletti: 2 estimatori, in genere i consoli della passata gestione; 2 rasonatori, i controllori dei conti; 2 terminatori, i verificatori dei confini tra i proprietari della comunità e i comuni confinanti; 2 visitatori, in alcuni verbali indicati come visitatori di differenze.

Altri incarichi detti offici, venivano posti all'incanto. Partecipavano all'asta sia i membri del consiglio sia altre persone della comunità. Vinceva l'incanto chi, durante il tempo di consumazione di una candela o parte di essa, faceva l'offerta più conveniente per la comunità. Venivano così assegnati: 1. L'officio della chiavaria e della scrivandaria. Il chiavaro era il cassiere e l'esattore, colui che teneva le chiavi della cassa comunale. Durava in carica sei mesi. Suoi compiti erano: esigere le taglie e gli affitti; scegliere lo scrivano e pagarlo (in genere lo scrivano era il notaio che partecipava alle riunioni del consiglio); sgravare il consiglio da ogni pena o danno derivanti da sue negligenze; portare a Casale il denaro dell'ordinario ducale, dell'esazione delle taglie, dei donativi delle imposizioni ducali ecc., il tutto a sue spese; poteva avvalersi sui renitenti; doveva nominare una segurtà ossia un garante, un fidejussore in grado di poter svolgere tutti gli impegni del chiavaro.

Duravano invece un anno: l'officio del messaggio, ossia il messo comunale che poteva essere pagato in natura con una certa quantità di frumento per ogni famiglia; suo compito era quello di pubblicare ad alta ed intelleggibile voce, tutte quelle notizie che dovevano essere note alla comunità. Generalmente le pubblicazioni avvenivano sulla piazza dopo la messa o il vespro; l'officio del sotterratore e quello della camparia che erano retribuiti con un coppo di frumento per ogni lira di registro: il camparo era preposto al controllo delle colture dei campi, della vite, dei boschi; ultimo era l'officio dei bandi campestri.

Strumento indispensabile per l'amministrazione della comunità era il catasto: esso rappresentava la somma dei valori di estimo dei beni allodiali, liberi cioè da vincoli feudali, che ogni proprietario denunciava sotto giuramento. Le proprietà erano definite in base al tipo di coltura praticato, alla località, alle coerenze ed alla superficie e valutate in base al valore di estimo di una giornata tipo. La somma degli estimi di tutti i possedimenti determinava il registro di ogni proprietario. Il catasto della comunità ammontava, nel 1562, a 1074 soldi, e 5 denari e 1/2. Stabilita la somma che il comune doveva imporre alla comunità, bastava dividere tale somma per l'ammontare dei soldi di estimo catastale e dal valore imponibile unitario, così ottenuto, era facile imporre le taglie in funzione dei soldi di registro dei singoli proprietari. Ovviamente il catasto doveva essere costantemente aggiornato. Anche i consignori e il clero denunciavano al catasto le proprietà, ma solo quelle il cui possesso era avvenuto dopo l'infeudazione in seguito ad acquisti, donazioni, successioni ecc. Una parte dei beni allodiali, così acquisiti venivano denunciati come beni immuni sottraendoli alla tassazione. Vittorio Amedeo II verso la fine del Seicento, impose la perequazione fiscale con l'obbligo di presentare la documentazione originale di tutte le proprietà.

La comunità doveva essere autosufficiente sotto ogni aspetto; amministrativo, economico, sanitario, ecc. e la popolazione era costretta a sopravvivere con quanto prodotto dalla coltivazione dei loro campi e dal ricavato della vendita del vino e di poche altre derrate. Non era prevista alcuna forma di sussidio né dal governo centrale né dai consignori; anzi la comunità era tenuta al pagamento dell'ordinario annuo di 480 scudi d'oro alle casse statali e altri 80 fiorini ai consignori. Le entrate, quasi inesistenti, erano originate dalla vendita di legname e dall'affitto dei terreni comunali. Il pedaggio del traghetto era suddiviso tra i consignori mentre i proventi del dazio sia per il trasporto di merci via terra che sul fiume erano introitati dalla camera ducale. Le uscite invece, frequenti e assai elevate, costringevano l'amministrazione comunale ad imporre taglie, in certi periodi, quasi ogni mese, e quando il ricavato delle taglie non era sufficiente si richiedevano dilazioni di pagamento o si ricorreva a prestiti.

Le voci di spesa più elevate erano dovute ai donativi che le comunità monferrine versavano alle casse dei Gonzaga per matrimoni e doti dei membri della famiglia; nel 1580 San Sebastiano venne tassato per 788 scudi d'oro per la dote della figlia di Guglielmo e nel 1589 per 852 scudi d'oro per la dote della sorella di Vincenzo I. Sovente erano richiesti operai per la manutenzione del presidio di Verolengo, notevole fu la presenza di guastatori per la costruzione della cittadella di Casale tra il 1590 e il 1595. Era compito della comunità provvedere alla milizia civica, alla manutenzione delle strade dei ponti e dei guadi, all'alloggiamento e al vitto per le truppe in transito e in sosta durante i quartieri d'inverno. Pochissime erano le persone in grado di leggere e scrivere, l'istruzione di massa proprio non esisteva. Il barbiere suppliva alla carenza del medico con il compito di «...sagnare, ventosare, tondere et accorzar barbe et incidere altri mali». Il suo lavoro era retribuito in natura con un coppo di grano per ogni fuoco o di legumi per i nuclei familiari più miseri.

La popolazione sansebastianese era dedita esclusivamente all'agricoltura, non esisteva altra attività né artigianale né commerciale fatto salvo qualche piccolo commercio di vino. Nel XVI secolo la terra di San Sebastiano era ancora circondata dalle mura ormai cadenti e da un fosso, un piccolo vallo. L'ingresso al borgo avveniva attraverso due porte, una rivolta a mezzogiorno e l'altra detta la porta nova rivolta a Nord. Esisteva un recetto, si trattava forse di un locale o poco più in cui ricoverare le granaglie in caso di emergenza. Il forno comunale non più utilizzato in quanto molte famiglie si erano trasferite nelle borgate, era caduto in rovina. Nella parte più elevata del borgo esisteva una torre, un vecchio castello, demolito poi nel '700 per costruire l'attuale palazzo, e una chiesetta, intitolata a San Sebastiano. La chiesa parrocchiale era posta sulla piazza.

Vi furono ancora guerre all'inizio del Seicento, le due guerre monferrine, la peste del 1628 e del 1631, della quale non si hanno riscontri. La guerra di successione spagnola arrecò molti danni alla comunità durante gli assedi di Verrua e di Chivasso nel 1705. Nella relazione Sicco del 1753 si contavano 240 capi di famiglia «de quali se ne ponno numerar quaranta per commodi, secondo lo stato, qualità e condizione loro, cento per meno commodi, e altri cento per poveri, tutto che questi tengano ancora qualche beni, per altro il reddito d'essi non è sufficiente per mantenerli, convenendo loro di andar giornaliando, e di cercarsi altrove il vivere per il restante dell'anno. Il maestro di scuola di detta comunità elletto, e stipendiato è il Sig. D. Pietro Paolo rettore della città di Cuneo dalla Regia Università admesso per simile esercizio. Non vi è medico ivi, ne tampoco vi sono speziali, vi sono però due cerusici, il Sig. Pietro Bonfante, e il Sig. Domenico Castelli nativi.».

Il conte di San Sebastiano

Il conte di San Sebastiano, l'eroe dell'Assietta

Paolo Novarina di San Sebastiano era figlio del Conte Novarina di San Sebastiano e di Anna Teresa Canalis di Cumiana che era nata nel 1685 ed era rimasta vedova nel 1730. Nominata Marchesa di Spigno, la Canalis di Cumiana si sposò morganaticamente con Vittorio Amedeo II, ultimo Duca di Savoia, che dal 1713 con il trattato di Utrecht divenne prima Re di Sicilia e successivamente Re di Sardegna, sessantaquattrenne e da due anni vedovo di Anna Maria Orléans, nipote di Luigi XIV, il Re Sole, dalla quale aveva avuto sei figli, cui si erano aggiunti i due figli naturali avuti da Giovanna d'Albert, contessa Scaglia di Verrua.

Al momento delle nuove nozze il Re aveva abdicato a favore del figlio Carlo Emanuele III ritirandosi a Chambéry, ma l'anno dopo, convinto che il figlio non fosse all'altezza del compito, stabilitosi a Moncalieri aveva chiesto la revoca dell'abdicazione, alla quale però Carlo Emanuele s'era opposto facendo arrestare il padre che l'anno dopo (1732) moriva, e relegando la Marchesa di Spigno, ritenuta corresponsabile del tentativo del vecchio Re di riprendersi il trono, nel monastero di Santa Chiara a Pinerolo.

Potrebbe essere stato già Vittorio Amedeo ad avviare il figlio di costei alla carriera di Ufficiale dei Granatieri; certo è che Paolo Novarina di San Sebastiano fin da principio s'era dimostrato un soldato di particolari meriti e grande valore: il 2 maggio 1746 aveva partecipato con estremo coraggio all'assalto notturno delle ridotte di Valenza, riportando un encomio, e aveva svolto, fino ai fatti dell'Assietta, una brillante carriera.

In tale battaglia, comunque, se pur già Tenente Colonnello, il Novarina ebbe il ruolo di Maggiore, come lo stesso Guerrini attesta, e così infatti sarebbe stato qualificato nel Regio Viglietto, che con altri quattro Ufficiali di minor grado (Caldera, Passati, Balbis e Gattinara), l'avrebbe segnalato per essersi particolarmente distinto. Nella famosa battaglia, il battaglione comandato dal Novarina di San Sebastiano era assestato sulla Testa dell'Assietta e contro questa mossero le due Colonne comandate rispettivamente dai Generali D'Arnault e D'Andelot. Il combattimento si svolse subito con tanto impeto e valore da ambedue le parti, che «rien de plus brillant que la valeur des ennemis a cette attaque» e «les compagnies des granadiers de Gardes et de Gasai ... faisaient des merveilles», riferisce il Munitoli. Senonché una terza Colonna francese condotta dal Villemur, arrivata a poca distanza dal Gran Serin, minacciava di aprirsi da questa parte la strada, ed allora il Generale Alciati disse al di San Sebastiano di accorrervi non appena fosse riuscito a sganciarsi dal nemico; ma poiché questo non rallentò la furia degli assalti, il San Sebastiano non potette muoversi.

Quattro ore dopo la Testa dell'Assietta fu assalita dai francesi con disperato impeto, e fu l'ora della vittoria di Paolo Novarina di San Sebastiano e dei Granatieri che egli comandava. Anche Bricherasio riuscì da parte sua a fermare per la terza volta l'assalto del Villemur e fu così completa e definitiva quella che gli storici avrebbero poi definita la «memoranda vittoria delle Armi piemontesi».

Benché «il merito della vittoria venisse attribuito per intero dalla pubblica voce in Francia come in Piemonte» al Navarina (così il Dabormida), all'eroico difensore della Testa dell'Assietta, oltre alla detta segnalazione sul Regio Viglietto, fu concessa, a ricompensa, solo una Croce dell'Ordine di San Maurizio e una pensione.

La storia del Castello di San Sebastiano

  Il Castello di San Sebastiano

Mura antiche, profumi senza tempo, odor di muschio, alberi e fiori. Vi risuonarono fragor di lame, nitriti di cavalli, urla di soldati. Le sue origini risalgono all'alto Medioevo (secolo X), quando il paese faceva parte del Marchesato del Monferrato.

I primi documenti relativi all'abitato di San Sebastiano lo pongono sotto la signoria dei Radicati, diventando poi nei secoli successivi teatro delle guerre per la supremazia sul Piemonte, prima fra i Savoia e i marchesi del Monferrato, poi con il coinvolgimento di Spagnoli e Francesi. Le sorti del castello in quel periodo non sono documentate.

Invece è precisa la data del 1761, in cui il conte di San Sebastiano, Paolo Federico Novarina, incaricò l'architetto Bernardo Vittone esponente del Barocco piemontese, di ristrutturare l'intero complesso del castello, dopo averlo visto all'opera nella ristrutturazione dell'attigua chiesa parrocchiale. Il conte Novarina, che fu comandante del reggimento Piemonte nel 1763, aveva partecipato alla battaglia dell'Assietta, nel 1747, ed in quell'occasione, per mantenere saldi i suoi soldati di fronte alle truppe francesi predominanti di numero, aveva lanciato la famosa frase: "Fieui, bugiè nen! (Ragazzi, non muovetevi!)". Da quest'episodio derivò un termine con il quale ancora oggi vengono chiamati i piemontesi "bougia nèn", cioè gente che non si muove.

Il castello fu meta di illustri visitatori: tra gli altri Napoleone I, visto che il conte Pietro Novarina aveva aderito e sostenuto la Repubblica Francese. In onore dell'imperatore francese fu messa a dimora nel 1810, al suo passaggio, una pianta rara, la ginkgo biolca, ancora oggi esistente.

Si narra che nel castello passò anche Cavour, essendo suo segretario ma anche uomo di fiducia del conte proprietario. Ma è dall'inizio dl secolo XIX che il castello vede il suo massimo splendore, quando Pietro Bagetti, pittore ed architetto piemontese, affresca la galleria.

Nel 1810 Xavier Kurten, tedesco, architetto di giardini, disegna il parco, che diventò presto campo di studio dell'università di botanica di Torino. Nel parco è presente un giardino all'italiana con parterre di bossi e rose: nei tempi gloriosi della sua storia, il castello ospitò fino a 3000 specie di piante e fiori.

Oggi è ancora presente un frutteto a ricordo dei medioevali pomari, e una serra a fianco del tempietto neoclassico: il quale ha l'unica funzione di contenere l'accesso ad altra sezione del giardino. Il tinaggio era il locale dove stavano i tini che contenevano l'uva dei vicini vigneti nella fase della fermentazione: la produzione del vino era una grande risorsa del territorio, oggi è possibile tenere deliziosi banchetti in un luogo che conserva ancora i particolari di un tempo.

Galleria immagini del Castello

Ex Stazione ferroviaria di San Sebastiano Po

La biblioteca venne fondata nel 1990 da Gualtiero Rizzi, all'anagrafe noto come "Giuseppe", uomo di cultura, ex direttore del Teatro Stabile di Torino e studioso di storia piemontese. Grazie alla sua attività precedente organizzò all'interno della biblioteca i "Randevò a la Vila", incontri in cui si trattava di storia locale. In seguito alla sua morte, avvenuta nella cittadina, la biblioteca venne a lui nominata.

Dal 2010 ha sede nell'ex Stazione Ferroviaria, e fa parte del sistema SBAM[6]. Ha forti legami con il complesso scolastico locale [ 7 ].

Chiesa dei SS. SEBASTIANO E CASSIANO

La chiesa, ora unica parrocchia del Comune, si trova alla Villa tra il Castello ed il vecchio Palazzo Municipale. L'edificio fu ingrandito in tutte le sue parti con progetto dell'architetto Vittone e terminata nel 1762. Ha la forma simile a croce oblunga e ai quattro lati della base della volta della cupola principale sono dipinti, quasi a grandezza naturale, i quattro evangelisti, mentre al centro della volta è dipinta la Triade in gloria con i cori angelici.
L'altare centrale (1776) è ricchissimo di lavorazione, incrostato di marmi policromi, adorni negli spigoli di volute con gli angoli anteriori rivestite da due colonnine di marmo prezioso, ha nel centro la porticina del tabernacolo rivestita di rame dorato con la rappresentazione, a sbalzo, della Fede.
Gli altari laterali sono dedicati uno alla Madonna del Rosario e I "altro a Gesù in Croce.
Il Battistero, del secolo XVIII è scavato nel muro e adorno di rilievi barocchi ed ha un'alzata con il Battesimo di Gesù scolpito in tutto rilievo. Il pulpito in legno sopra la balaustra, a destra dell'altare maggiore, è a pianta poligonale con bassorilievi rappresentanti San Sebastiano e i quattro Evangelisti. Il basamento è a piramide rovesciata ed è anch'esso adorno di rilievi barocchi. L'organo ad una tastiera con 717 canne è opera di Giuseppe Lingua di Torino e fu costruito nel 1807.

Chiesa della SANTISSIMA TRINITA'

La chiesa si trova nella borgata del Colombaro al di là del torrente Leona alla biforcazione tra la strada che conduce a Moribondo. Fu costruita nel 1741 in accordo con il signor conte Boetto ed in posizione attigua al suo palazzo.

In passato faceva parte della Parrocchia di Moribondo; attualmente è a disposizione della popolazione e della famiglia dei Conti Cordero di Vonzo, proprietari del palazzo vicino.
La forma è di croce arrotondata e la facciata, forse eseguita su disegno dell'architetto Filippo Juvarra, è in mattoni.
All' interno c'è il coro con annessa sacrestia; l'altare maggiore è dedicato alla SS. Trinità ed i due altari laterali sono dedicati rispettivamente uno a Maria Santissima e l'altro a S. Antonio, S. Sebastiano e S. Rocco.
Al fondo della chiesa c'è una tribuna riservata alla nobile famiglia, che può accedere alla chiesa direttamente dal Palazzo.

Chiesa di SAN GIORGIO MARTIRE

La chiesa si trova nell'abitato di Moriondo in posizione dominante sulla pianura sottostante. Ha origini molto antiche ed è stata sede di Parrocchia fino agli anni ottanta.

Nel 1275 esisteva già la Parrocchia di Montis Rotondi con un territorio che si estendeva fino alla cappella di S. Andrea, ora nel comune di Casalborgone.
Per molti anni fu lasciata nell'abbandono sino al 1657, quando fu nominato parroco Don Giovanni Brizio, che provvide ad ampliare la casa canonica, a demolire parte dell'antica chiesa cadente per ricostruirla utilizzando anche parte del materiale della distrutta chiesa di San Pietro De Campi.
Vengono edificati il coro, i due altari laterali e l'altare maggiore in stucco. Le volte sono decorate con affreschi che danno all'ambiente luminosità.
All'esterno, dove è anche posizionata una statua rappresentante S. Giorgio, una ripida gradinata in cemento costruita nel1933 conduce all'ingresso della chiesa.
Da alcuni anni nella piazza sottostante la chiesa al venerdì Santo viene rappresentata la Passione di Cristo, che trova la sua massima drammatizzazione dinnanzi alla porta della chiesa. L'ambiente raccolto, ma in posizione molto visibile e dominante rende il momento culminante realistico e coinvolgente.

Chiesa di SAN PIETRO in NAVIGLIANO

La chiesa sorge vicino ad un' antica Abbazia (ora abitazione privata) su una collina che domina la borgata di Saronsella ed attualmente è la cappella del cimitero di Navigliano.

E' in stile romanico; ha una navata unica rettangolare che termina in un'abside semicircolare orientata verso sud-est.
Originariamente il corpo rettangolare era coperto da tetto in vista e poi fu costruita una volta semicircolare a botte; anche la facciata è stata modificata in epoche posteriori. All'interno si trova la Pala di S. Antonio Venerato.
Le prime menzioni riguardo la cappella detta di Nevigliano o Vugliano risalgono al 1148, si ritiene che sia uno dei più antichi Priorati di Vezzolano.
La muratura dell'abside è composta da grossi mattoni e da liste di pietra arenaria intercalate, che conferiscono un effetto policromo tipico dei monumenti monferrini. Il motivo decorativo del cornicione, formato da un listello di mattoni, è simile a quello che si vede nella chiesa di S. Maria di Vezzolano, tanto da far pensare che sia stato creato dalla stessa mano.

SAN  SEBASTIANO  DA  PO  OGGI


Dalla fine del XVII secolo comincia lo sviluppo edilizio ed artistico che ancora ne segna la fisionomia. Segnaliamo il Castello, la parrocchiale dei Santi Martiri Sebastiano e Cassiano, su progetto del Vittone, la settecentesca villa-palazzo dei Corsero Marmorito di Vonzo, in frazione Colombaro, e la chiesa di San Giorgio Martire in Moriondo. In frazione Navigliano, la chiesa di San Pietro conserva ancora l'abside di epoca romanica.Fino agli anni '60 la popolazione era impegnata nel settore agricolo .poi, come in tutto il resto della regione,ha avuto il sopravvento l'industria .Per questo motivo il nostro comune ha visto l'emigrazione di molti suoi abitanti verso le fabbriche della grande città con l'abbandono di gran parte della campagna, riducendo l'agricoltura a un settore marginale.
Ora operano sul territorio piccole e medie imprese agricole che si dedicano soprattutto a colture intensive di grano e granoturco nella parte pianeggiante mentre c'è stata una marginalizzazione dell'agricoltura collinare non votata a colture di alto pregio (vigneti,frutticoltura eccetera).
Proprio per questo motivo sono andate perdute coltivazioni di frutti autoctone come quella del POM MATAN.

San Sebastiano da Po è veramente bello ed accogliente, ma che ve lo diciamo noi è normale: tutte le piante amano la terra in cui affondano le proprie radici. Quello che vi chiediamo è di venirlo a scoprire da soli, magari in alternativa alla solita gita domenicale.
Villa, quest'ultima capoluogo storico anche se ora il municipio è stato trasferito alla Caserma) che vanno da 168 a 335 m. di altitudine. Qualcuno dice che siamo l'ultima propaggine della collina torinese ed altri il primo Monferrato; certamente il paesaggio è unico perché passa dalle sponde del fiume Po alla collina in un alternarsi di prati, campi, orti e schiere di pioppi in pianura, per arrivare alle vigne, ai frutteti ed ai boschi della parte più collinare. Proprio verso quest'ultima vogliamo richiamare la vostra attenzione: dovunque si salga (alla Villa, a Moriondo, a Tetti Nosma, al Bricco Dolce...) si può ammirare un paesaggio bellissimo ed assaporare una quiete unica; i colori, che cambiano tutti i giorni e in particolare in autunno, sono degni di un poster.
Nell'ultimo decennio i giovani tendono a formare nuovi nuclei familiari nel paese che ha visto la nascita dei loro avi.
Si sta creando quindi un nuovo flusso dalla città alla campagna; nascono nuove attività commerciali e la nostra scuola primaria annovera un incremento di iscritti.
Questa situazione si sta concretizzando, perché c'è una nuova consapevolezza di migliori stili di vita unita al fatto che la città non offre più la certezza del posto di lavoro.
San Sebastiano è una comunità molto attiva: sul suo territorio operano molte associazioni ricreative, sportive, culturali e di categoria che riempiono il calendario di manifestazioni; l'Associazione turistica Pro Loco è impegnata ormai dal 1989 su iniziative che portano la nostra comunità anche oltre i confini del paese.

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